Oggi

parlare di energie rinnovabili fa quasi automaticamente pensare a fotovoltaico ed eolico, ma le fonti di energia da considerare rinnovabili sono assai più numerose (idroelettrico, geotermia, moto ondoso, correnti marine ecc.). Fra queste, un rilievo particolare hanno le biomasse, intese come “la parte biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui provenienti dall’agricoltura (comprendente sostanze vegetali e animali), dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industrialie urbani”. Si tratta, a differenze dell’energia solare ed eolica, di una fonte facilmente immagazzinabile e utilizzabile in modo prevedibile e modulabile, e già solo per questo di particolare interesse per la generazione elettrica. C’è, inoltre, un grande potenziale di produzione energetica da biomasse, oggi solo in parte sfruttato, che può dare un importante contributo agli obiettivi di “de-carbonizzazione”, volti a contrastare il cambiamento climatico.

In questo dossier ci si concentra su un particolare tipo di biomassa, quella legnosa, derivante dallo sfruttamento di boschi e foreste, che da un lato offre un potenziale energetico di rilievo, sfruttabile in modo efficiente mediante la cogenerazione, dall’altro è materia di discussione in merito ad aspetti come la sostenibilità (effettivo contributo alla lotta ai cambiamenti climatici) e gli effetti sulla qualità locale dell’aria. Aspetti sui quali si vuole fornire un contributo, sperabilmente di chiarezza.

Il patrimonio boschivo italiano: grande e in crescita

La copertura di boschi e foreste corrisponde, secondo i dati più recenti, a 11 milioni di ettari, oltre un terzo (36,5%) del territorio nazionale (FIPER). Si stima che negli ultimi 100 anni la superficie italiana coperta da boschi e foreste sia raddoppiata. La frazione di territorio italiano coperta da boschi è superiore alla media mondiale (31%), prossima alla media europea (40 %, molto alta a causa dei Paesi Scandinavi), e pari o superiore a quelle di Spagna, Francia e Germania.

In base ai dati più recenti (censimenti 2005 e 2015), l’incremento annuo della superficie a bosco è dello 0,2 %, principalmente a causa dell’abbandono di superfici coltivate. Il volume complessivo di legno è oggi stimato in 1.27 miliardi di m3 (38 RAF Italia), con un incremento annuo di circa 36 milioni di m3 (38 RAF Italia) (circa il 2,8% per anno).

Gli usi energetici della biomassa legnosa

L’utilizzo energetico delle biomasse legnose, sotto forma di legno vergine e di scarti dell’industria forestale, della lavorazione del legno e dell’agricoltura, avviene nelle forme della produzione di calore, di energia elettrica e simultaneamente per entrambe (cogenerazione, in molti casi abbinata la teleriscaldamento, che rappresenta il caso più efficiente e ambientalmente vantaggioso). La produzione di energia elettrica attuale è di circa 4 TWh (TERNA dati statistici) (1,4% del totale), quella termica di circa 86 TWh (Elab. RSE su dati GSE rapporto FER 2017), circa il 24 % del fabbisogno di riscaldamento residenziale,quest’ultimo desunto dal rapporto annuale ENEA sull’efficienza energetica (Rapporto ENEA 2017)

In termini di prelievi annui globali (sia per il legname “da opera” che per usi energetici), si osserva (FIPER) che il dato più recente è di 0,71 m3/ettaro, valore molto basso rispetto alla media dell’Europa a 27 (pari a 2,39 m3/ettaro) e con tendenza in diminuzione. Va anche osservato che nel caso italiano i prelievi non energetici sono assai modesti, e che il dato europeo per la parte di legname prelevato per usi energetici è poco diverso da quello italiano (0,49 m3/ettaro per l’Italia, 0,52 come media europea). Se però si considera che l’industria del legno per usi non energetici (dalla fase di prelievo alle lavorazioni successive) genera scarti dell’ordine del 40-50%, prontamente utilizzabili a fini energetici, si comprende come lo scarso utilizzo del legno per gli usi diversi dall’energia porti con sé anche una limitazione agli usi energetici. In altri termini: il patrimonio boschivo italiano è poco sfruttato, ovvero poco “coltivato” come dovrebbe essere, con operazioni ad esempio di diradamento selettivo, il che è testimoniato numericamente dal confronto fra la crescita media dello stock di biomassa (circa 3,3 m3/ha) e i prelievi (0,71 m3/ha, solamente il 22 % circa dell’accrescimento).

Biomassa legnosa: una rinnovabile affidabile, programmabile e flessibile

È una fonte rinnovabile a tutti gli effetti.

Un tema in qualche misura dibattuto è se la biomassa (legnosa in particolare) sia da considerare una fonte energetica rinnovabile, al pari del sole e del vento, e se il suo sfruttamento, in sostituzione dei combustibili fossili, abbia la stessa efficacia nella lotta al cambiamento climatico. La combustione della biomassa libera CO2 all’atmosfera ma, a differenza dei combustibili fossili, si tratta di anidride carbonica che fa parte di un ciclo di breve durata (anni/decenni), che è stata assorbita dalla crescita della vegetazione poi utilizzata energeticamente, e che verrà di nuovo assorbita dalla ricrescita di nuova biomassa negli spazi resi disponibili dal prelievo. In linea di principio, quindi, si tratterebbe di una fonte “neutra” sotto il profilo delle emissioni (zero gCO2/kWh).

La realtà non può essere questa, visto che il taglio, il trasporto e la lavorazione (cippatura) del legname sono operazioni che consumano energia, come pure la costruzione degli impianti di sfruttamento energetico. Questo vale del resto, in varia misura, anche per le fonti solare, eolica idroelettrica, che nelle analisi sul ciclo di vita (LCA, Life Cycle Assessment) presentano tutte indici di emissione non nulli (tipicamente qualche decina di gCO2/kWh), comunque un ordine di grandezza inferiori a quelle delle fonti fossili (ad esempio, produzione elettrica da gas naturale circa 480 gCO2/kWh, da carbone oltre 1000 gCO2/kWh).

Per fornire indicazioni quantitative su quale sia l’entità delle emissioni specifiche di gas serra derivanti dall’uso energetico delle biomasse, una fonte autorevole e frutto di un importante lavoro svolto da diversi gruppi di esperti è la Direttiva Europeacosiddetta  “RED II” (DIRECTIVE (EU) 2018/2001 OF THE EUROPEAN PARLIAMENT AND OF THE COUNCIL of 11 December 2018 on the promotion of the use of energy from renewable sources). Negli Allegati vengono riportati i valori di percentuale di CO2 evitata grazie all’uso di biomassa legnosa, rispetto al caso di produzione della stessa quantità di energia da combustibile fossile (assumendo come riferimento 658 gCO2/kWhg per la produzione elettrica e 288 gCO2/kWht per la produzione termica da fonti fossili). Nei casi di utilizzo,per produzione di energia elettrica o calore, di cippato ottenuto da legno vergine, scarti di lavorazione del bosco e dell’industria del legno, con distanze fra luogo di origine e di utilizzo inferiori a 500 km, le percentuali tipiche di CO2 evitata variano fra l’89 e il 94%. Un po’ inferiori risultano le percentuali tipiche di CO2 evitata nel caso di biomassa legnosa coltivata, a pari distanza (fra 83 e 91%). Le percentuali peggiorano per distanze maggiori, restando comunque superiori all’84% per biomassa forestale con distanze fino a 2500 km.

Come esempio di indice di emissione, si consideri il caso di biomassa legnosa vergine (fustaia) con origine entro 500 km, impiegata per la sola generazione di energia elettrica. La percentuale tipica di emissioni evitate, da Direttiva RED II, è dell’89 %, il che corrisponde, visto l’indice di emissione assunto a riferimento, ad un’emissione nell’uso della biomassa di circa 70 gCO2/kWhg (circa un quinto rispetto alle migliori tecnologie a gas naturale). Se esaminiamo invece il caso analogo, ma con produzione di solo calore, le emissioni evitate sono del 93%, che corrispondono a circa 20 gCO2/kWht (circa un decimo rispetto a caldaie a gas naturale). Il caso più interessante è infine l’utilizzo in cogenerazione (tipicamente per alimentare reti di teleriscaldamento): considerando i rendimenti tipici elettrico (15%) e termico (65%) di un impianto di cogenerazione di cippato di piccola-media taglia (dell’ordine del MW) e valutando le emissioni evitate in base alla produzione separata di energia elettrica e calore a partire da gas naturale, si ricava che le emissioni evitate sono del 91%. In altre parole, l’uso cogenerativo della biomassa comporta una riduzione delle emissioni di oltre 11 volte, rispetto alla produzione separata da gas naturale, e di circa 9 volte rispetto alla produzione cogenerativa da gas naturale con un impianto di taglia paragonabile a un tipico cogeneratore a biomasse.

Per confronto, la valutazione del contributo all’effetto serra della produzione di tipici impianti fotovoltaici italiani installati su abitazioni, espressa in gCO2/kWh, risulta compresa fra il 7 e il 14 % rispetto alla produzione elettrica da gas naturale (Girardi). Il rapporto con il gas naturale è quindi dell’ordine di 1:10, molto simile al caso della cogenerazione da biomasse legnose.

Va infine menzionata la Decisione della Commissione Europea 2007/589/EC (Decisione della Commissione Europea 2007/589/EC), relativa al monitoraggio e alla comunicazione delle emissioni di gas a effetto serra. La combustione di un ampio elenco di biomasse, vergini e di scarto, fra cui “foglie, legno, radici, ceppi, corteccia” è indicata come a zero emissioni di anidride carbonica.

E’ una fonte affidabile, utile per l’adeguatezza del sistema elettrico.

Adeguatezza significa la ragionevole certezza che il sistema elettrico sia in grado di coprire la domanda “di punta”. Un impianto contribuisce con la sua cosiddetta “Capacità Disponibile in Probabilità” (CDP), che viene remunerata nel Mercato della Capacità, di recentissima introduzione. La CDP è la potenza dell’impianto, decurtata della indisponibilità (per qualsiasi causa: fonte energetica non disponibile, guasti, limitazioni ambientali ecc.). La CDP è proporzionalmente elevata per impianti termoelettrici e idroelettrici, molto bassa per impianti a energia solare ed eolica, a causa della variabilità della fonte energetica.

Gli impianti a biomasse sono inclusi nella più generale categoria degli impianti termoelettrici, e assicurano un contributo elevato in termini di adeguatezza del sistema: in base ai dati GSE del 2017(GSE rapporto statistico FER 2017), il comparto della produzione da biomasse opera mediamente per 4700 ore/anno, rispetto a 1240 del solare e 1800 dell’eolico.

E’ una fonte programmabile e flessibile

Questo è un aspetto molto importante per il futuro. La tendenza all’utilizzo sempre maggiore delle fonti rinnovabili aleatorie (sole e vento in primis) genera maggiore incertezza nella previsione della produzione e riduce sempre più la produzione del grande termoelettrico tradizionale, ancora oggi la principale fonte di flessibilità del sistema elettrico italiano ed europeo. La capacità di variare con una certa rapidità e in modo assolutamente prevedibile la potenza prodotta, tipica soprattutto degli impianti a gas naturale, è la risorsa che assicura il bilanciamento istantaneo produzione-carico e un accurato controllo della frequenza di rete, sinonimo di qualità del servizio elettrico.

Fra le fonti rinnovabili, alcune, come l’energia solare ed eolica, pur potendo tecnicamente essere, entro certi limiti, rese flessibili, non rappresentano una risorsa vantaggiosa da questo punto di vista: una modulazione in diminuzione, rispetto alla condizione di massima potenza, rappresenterebbe una perdita irrecuperabile di energia pulita e gratuita, mentre una modulazione in aumento presupporrebbe un prolungato mantenimento al disotto della massima potenza estraibile, e sarebbe quindi a maggior ragione uno spreco. Altre fonti (idroelettrico a serbatoio, biomasse) consentono invece una modulazione senza alcuno spreco, poiché l’energia immagazzinata nell’acqua di un lago in quota o in un combustibile come il legno può essere conservata a lungo e il suo utilizzo può essere effettuato con avviamenti, fermate, variazioni di potenza anche rapide, in funzione della necessità di immettere più o meno energia nella rete.

Il caso della cogenerazione può apparire una limitazione in termini di flessibilità, dovendo soddisfare contemporaneamente la domanda di calore e le esigenze del sistema elettrico: tale limitazione è però di scarso rilievo, dal momento che l’utilizzo del calore, tipicamente per il riscaldamento degli edifici, risponde a dinamiche lente (dell’ordine delle ore) e consente quindi di seguire la domanda elettrica con elevata libertà. Ma soprattutto, accumulare calore (serbatoi di acqua calda) è poco costoso, e nel teleriscaldamento normalmente viene fatto anche solo per soddisfare i picchi di domanda: l’accumulo termico consente di “disaccoppiare” maggiormente le esigenze termiche da quelle elettriche.

Potenziale energetico della biomassa legnosa

Quale contributo energetico si potrebbe attendersi da un più intenso sfruttamento della biomassa legnosa italiana, oggi sottoutilizzata?

Abbiamo svolto alcune valutazioni, nell’ipotesi che lo sfruttamento dell’Italia raggiunga il dato medio europeo (2,39 m3/ha), dedicando la parte nuova dei prelievi agli usi energetici. Si noti che questa ipotesi corrisponderebbe ad un prelievo di circa il 70 % della crescita annua, consentendo quindi non solo il mantenimento, ma l’ulteriore incremento dello stock di biomassa boschiva italiana.

Assumendo che tale quantità venga utilizzata in impianti di cogenerazione, con i parametri di efficienza già indicati e con una producibilità pari a quella attuale per la produzione elettrica da biomassa legnosa (4000 ore/anno) si ottiene una nuova potenza installabile di 1900 MWe e una produzione addizionale elettrica di 7,5 TWh e termica di 30 TWh. Tali nuove produzioni, ipotizzando che il combustibile sostituito sia gas naturale, portano a minori emissioni di quasi 8 milioni di tonnellate/anno di CO2. Per ottenere la stessa riduzione di emissioni occorrerebbe installare 20 000 MWe di nuovo fotovoltaico.

Non sfuggirà il grande vantaggio di utilizzare in maggior misura la produzione da biomassa legnosa anche dal punto di vista dell’esercizio del sistema elettrico: 1900 MWe programmabili e flessibili possono dare un contributo di grande rilievo alla gestione del sistema in qualità e sicurezza del servizio (la tipica necessità di riserva del sistema italiano è di qualche migliaio di MW), nel contempo sostituendo ulteriori consumi di combustibili fossili e/o in parte riducendo o posticipando la necessità impiego di rinnovabili aleatorie, ed evitando parte degli investimenti per l’installazione di nuove “centrali di punta” e di sistemi di accumulo.

La possibilità di sfruttare, soprattutto con reti di teleriscaldamento di piccola-media estensione, la grande quantità di calore producibile, risulta realistica: considerando le sole zone climatiche E d F (la parte d’Italia con più alta domanda di calore, situata soprattutto nel centro-nord e prevalentemente in prossimità dei rilievi alpini e appenninici) ed escludendo

  1. i centri urbani sopra i 100 000 abitanti (in parte già teleriscaldati da altre fonti e meno adatti logisticamente all’uso delle biomasse)
  2. la domanda oggi soddisfatta da biomasse e pompe di calore

si ottiene una domanda annua di calore di 120 TWh, di 4 volte superiore ai 30 TWh sopra stimati come nuova produzione da biomassa legnosa.

Si sottolinea come vi sia un’elevata coerenza geografica fra le zone di produzione prevalente della biomassa (arco alpino e dorsale appenninica) e quelle con più elevata domanda di calore (zone climatiche E e F, coincidenti con l’Italia settentrionale e le zone interne del Centro-Sud). Ciò assicura la sostenibilità della filiera, con necessità di trasporto della biomassa entro 500 km, nel rispetto delle ipotesi sopra indicate ai fini delle effettive emissioni di gas climalteranti.

Si tenga anche presente che, come risulta dal recente rapporto GSE “Teleriscaldamento e teleraffrescamento – Diffusione delle reti ed energia fornita in Italia – Nota di approfondimento ottobre 2019”, l’energia termica immessa annualmente nelle reti di teleriscaldamento è di 11.3 TWh, di cui solo 2,8 TWh da fonti rinnovabili. La maggior parte del calore proviene d gas naturale. Vi è quindi ampio spazio sia per ulteriori sviluppi del teleriscaldamento, sia per la sostituzione di combustibili fossili con biomassa nei sistemi esistenti.

Si osserva infine che l’introduzione di calore teleriscaldato proveniente da impianti cogenerativi potrebbe anche sostituire in parte l’uso di biomasse in piccoli apparecchi di riscaldamento domestico, caratterizzati da minore efficienza e più elevate emissioni inquinanti, liberando inoltre ulteriori quantità di biomassa legnosa per un uso più efficiente e utile per il sistema elettrico.

Quali aspetti critici ?

La sostenibilità: ai fini globali (cambiamenti climatici), è un bene prelevare biomassa boschiva ?

La risposta è SI, come si è visto, in termini di emissioni evitate l’uso energetico (preferibilmente in cogenerazione) è del tutto equivalente a quella del fotovoltaico su edifici

Il costo di produzione dell’energia. In sola produzione elettrica, è più elevato di quello del fotovoltaico e dell’eolico, ma questo svantaggio è compensato dal “valore” molto superiore per il sistema elettrico in termini di adeguatezza e flessibilitàà si evitano rilevanti costi per impianti di generazione e accumulo che sarebbero necessari per tali esigenze

Gli inquinanti locali: è un problema di rilievo nel caso di usi termici in piccole caldaie, stufe, camini, per i quali è difficile immaginare soluzioni efficaci di abbattimento. È invece un molto meno rilevante per impianti di combustione (tipicamente cogenerativi) di taglia medio – grande (qualche MW termico):l’uso (ormai indispensabile, per le normative in vigore) dei filtri a maniche è in grado di ridurre drasticamente le emissioni di polveri sottili, mentre le nuove norme intervenute in molte Regioni italiane stanno portando gli operatori a introdurre sistemi di abbattimento degli ossidi di azoto, con interventi che possono essere facilmente applicabili e di costo contenuto.

 

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