Per biomasse legnose s’intende la parte biodegradabile di prodotti, rifiuti e residui da coltivazioni, i sotto prodotti del legno e la frazione umida dei rifiuti industriali e urbani. La produzione di energia elettrica da biomasse è al centro di un dibattito che mette sui due piatti delle bilancia, da una parte le numerose caratteristiche indubbiamente positive di questa fonte rinnovabile – programmabilità, producibilità, efficienza se usata in cogenerazione – dall’altra le criticità: quali costi ed emissioni locali di inquinanti che devono essere attentamente valutati. Il lavoro di RSE ha cercato di dare risposte e indicazioni, considerando principalmente le biomasse legnose. Questo per poter fornire un quadro il più possibile oggettivo, utile alle dinamiche evolutive e alla pianificazione degli opportuni interventi necessari per l’affermazione di questa fonte nel panorama delle FER. Per valutarne appieno le potenzialità, ad oggi in gran parte inespresse, nelle generazione elettrica si è provveduto a considerarne la convenienza, l’affidabilità e la programmabilità.
L’Italia è un paese ricco di boschi e foreste con una fiorente industria del legno. Pertanto, le biomasse legnose, sia vergini che come scarti di lavorazione, sono ampiamente disponibili. Nonostante ciò i dati più recenti indicano in soli 4TWh di energia elettrica e in 86 TWh di energia termica la produzione da biomassa, un dato che corrisponde a un uso molto limitato del legname disponibile. Sono molti gli aspetti che, invece, rendono favorevole, in termini ambientali ed economici, la produzione energetica da biomasse, soprattutto in impianti di cogenerazione. In un processo di LCA (Life Cycle Analysis) e considerando taglio, trasporto e lavorazione (cippatura) del legname, a cui si aggiunge la costruzione degli impianti di sfruttamento energetico, le emissioni di CO2 prodotte dalla combustione di biomasse legnose sono di qualche decina di gCO2/kWh. Non si tratta, quindi, di una rinnovabile a saldo zero, dato per altro che non viene raggiunto nemmeno da solare, eolico e idroelettrico che hanno infatti valori paragonabili a quello delle biomasse legnose. Si tratta però di valori di molto inferiori rispetto alle fonti fossili: per la produzione elettrica da gas naturale si arriva a circa 350 gCO2/kWh emessi e per quella da carbone a circa 750 gCO2/kWh. In termini di indice di emissione quello delle biomasse legnose è comparabile a quelli di impianti fotovoltaici su edifici con un indice di emissione, espresso in gCO2/kWh, fra il 7 e il 14% rispetto alla produzione elettrica da gas naturale. Per fornire altri dati è possibile considerare la Direttiva Europea cosiddetta “RED II” che riporta valori percentuali di CO2 evitata grazie all’uso di biomassa legnosa, paragonata alla produzione della stessa quantità di energia usando combustibili fossili. Utilizzando cippato da legno vergine, scarti di lavorazione del legno e ipotizzando distanze fra luogo di origine e utilizzo inferiori a 500 km, le percentuali tipiche di CO2 evitata variano fra l’89 e il 94%. Leggermente inferiori quelle evitate nel caso di biomassa legnosa coltivata, a pari distanza (fra 83 e 91%).
Per biomassa legnosa vergine, sempre con origine entro 500 km, nel caso di sola generazione di energia elettrica, l’indice di emissione è di circa 70 gCO2/kWh (circa un quinto rispetto alle migliori tecnologie a gas naturale). Se si considera solo la produzione di calore, le emissioni evitate sono del 93%, corrispondenti a circa 20 gCO2/kWh (circa un decimo rispetto a caldaie a gas naturale). L’uso cogenerativo della biomassa (produzione combinata di energia elettrica e calore, che può essere utilizzato in teleriscaldamento) comporta una riduzione delle emissioni di oltre 11 volte rispetto alla produzione separata da gas naturale.
Sul tema dell’affidabilità occorre considerare come un impianto a biomasse abbia un alto valore di “Capacità Disponibile in Probabilità” (CDP), indice che misura la potenza resa disponibile dall’impianto, decurtata della indisponibilità (per qualsiasi causa: fonte energetica non disponibile, guasti, limitazioni ambientali ecc.). Un impianto termoelettrico ha una CDP elevata, un fotovoltaico bassa, a causa della variabilità della fonte energetica. Inoltre, la programmabilità delle produzione di energia da biomasse consente di inserirle fra le fonti flessibili, cioè in grado di intervenire secondo necessità nel sistema elettrico per fornire una bilanciamento istantaneo produzione-carico e un accurato controllo della frequenza di rete, sinonimo di qualità del servizio elettrico.

Il contributo energetico derivante da un più intenso sfruttamento della biomassa legnosa italiana è rilevante. Se l’Italia raggiungesse livelli di utilizzo di questa materia prima equiparandosi alla media europea e considerando impianti di cogenerazione, si potrebbe ottenere una nuova potenza installabile di 1900 MWe e una produzione addizionale elettrica di 7,5 TWh e termica di 30 TWh. Se questa produzione sostituisse quella da gas naturale si avrebbero minori emissioni di quasi 8 milioni di tonnellate/anno di CO2. Un vantaggio ambientale che potrebbe concretizzarsi alimentando con il calore prodotto reti di teleriscaldamento, che andrebbe a sostituire in parte l’uso di biomasse in piccoli apparecchi di riscaldamento domestico che hanno minore efficienza e più elevate emissioni inquinanti. Il costo di produzione, certamente più alto rispetto a fotovoltaico ed eolico, viene compensato dal valore, decisamente importante per il sistema elettrico, in termini di adeguatezza e flessibilità che sono fra le maggiori criticità delle FER, ovviabili con costosi impianti di generazione tradizionale e accumulo.

Diverso il discorso sugli inquinanti: quello delle emissioni locali è uno degli elementi critici da sempre addotti a detrazione dell’uso massivo di biomasse legnose. Sicuramente presente per impianti domestici di piccola taglia (come stufe e camini), è superabile negli impianti di combustione - tipicamente cogeneratori di almeno qualche MW termico – con l’uso di filtri a maniche per l’eliminazione delle emissioni di polveri sottili, obbligatori per legge, e ora anche utilizzabili, con modeste modifiche, per l’abbattimento degli ossidi di azoto.

 

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